Laboratorio Archivistico 2020 Conosciamo i Docenti – Massimo Coen Cagli

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Il senso della comunità e la creazione di un sistema di rete degli archivi

Primi appunti per la sostenibilità della cultura

 

Intervista a Massimo Coen Cagli

 

Fundraising strumento di economia sociale

“Sostenere la valorizzazione. Il fundraising per gli archivi. Dall’idea al piano” è il titolo del suo intervento all’interno del Laboratorio Archivistico. Qual è il punto di partenza del suo corso e che cosa bisogna apprendere per rendere sostenibile la progettazione culturale?


Il punto di partenza è il fare chiarezza su cosa si intenda oggi per fundraising, che è ancora fortemente percepito come una forma di beneficienza o di mecenatismo. Di fatto, è uno strumento di economia sociale, che recupera la dimensione di comunità alla base della cultura italiana, e il principio di cittadinanza attiva, che appartiene alla nostra Costituzione. Ospedali, biblioteche e teatri rientrano per esempio nella nostra tradizione di sussidiarietà. Mi piace pensare ad un “ritorno al futuro” e alla cultura come “bene comune”. Adottando questa prospettiva, il donatore è a tutti gli effetti un investitore sociale, che si aspetta dei ritorni e delle misurazioni, in grado di superare la retorica dell’emozione e del cuore.

Valori e benefici

Ripensare il fundraising come investimento sociale e responsabilità sociale d’impresa che cambiamento comporta?


Se pensiamo alla cultura come bene comune, riusciamo ad attivare molte più risorse e a coinvolgere gli attori chiave del territorio, che adeguatamente motivati e ricompensati possono facilmente aderire alla nostra causa. Ma anche per saper chiedere è necessaria una formazione.  La campagna dell’Art Bonus promossa dal MIBACT, che ci vuole tutti mecenati, sembra non cogliere questa opportunità, mantenendo una visione apicale dell’investimento culturale, in cui chi dona ha più degli altri e “restituisce”. Il FAI, al contrario, ha compreso il valore anche del donatore individuale che investe su un luogo del cuore, anche con piccoli contributi. Il tema è per quali valori chiedo di essere sostenuto e quali i benefici che produco per chi dona.

Un cambio di narrazione per gli archivi

Nel tempo si è specializzato nel sostegno delle Biblioteche e nel settore che ha battezzato come “Art Raising”. Da Aprile 2019 è inoltre attivo il nuovo Osservatorio sul Fundraising per la Cultura. Che cosa consiglia per sostenere gli archivi, che nel percepito comune sono considerati “beni invisibili”?


Credo che il primo passo per la sostenibilità degli archivi sia un cambio di narrazione. Finché continuano ad essere raccontati come una sorta di grande ufficio dell’anagrafe, è difficile promuoverli. Al contrario, diventa più facile costruire delle campagne se si lavora sull’aspetto identitario, valoriale, di relazione e di scambio con la comunità. L’Archivio può così diventare attrattivo, in quanto depositario di pezzi di storia comune. A volte si tratta di aggirare delle difficoltà, che nascono per esempio dal fatto che molti degli Archivi di Stato non hanno un’autonomia gestionale, motivo per cui non possono ricevere donazioni. Si può chiedere, per esempio, di sostenere i costi vivi pagando direttamente i fornitori, piccole strategie che però danno risultati.

Casi di successo

Ci sono dei casi che rappresentano buone prassi da replicare?


Un bel lavoro è stato fatto dall’Archivio di Stato di Genova, che ha coinvolto diversi attori della comunità, affidando ad ognuno di loro il recupero di un pezzo della loro storia (notai, commercialisti, imprese, famiglie, Associazioni), legata alla città. Un’operazione dal basso che ha funzionato, con ringraziamenti e citazioni in tutti i contesti di visibilità dell’operazione, e ha rafforzato il senso di appartenenza. Un esempio internazionale arriva dagli Archivi nazionali inglesi, che hanno sostenuto corsi di fundraising per formare i responsabili degli archivi in vista della loro sostenibilità. Un modello che potrebbe essere replicato anche in Italia, lavorando sulle reti di archivi a livello nazionale, che insieme genererebbero un maggiore impatto. Bisogna trasmettere gli strumenti del fundraising alle organizzazioni, c’è ancora tantissimo spazio di intervento.

Archivi di impresa e privati

Se per i soggetti pubblici può essere più semplice coinvolgere la comunità, come procedere con gli archivi di impresa, o quelli gestiti da privati?


Oggi non credo ci siano grosse differenze. Si tratta ancora una volta di individuare un racconto comune, inserendo l’impresa dentro un sistema di relazioni territoriali, anche attraverso cambi di Governance che includano nuovi stakeholder, o piuttosto operando con Associazioni e Fondazioni che facilitino la raccolta e la mobilitazione.

Archivi e biblioteche come spazio vivo di socializzazione

Nella sua esperienza vede punti di convergenza tra archivi e biblioteche?


Ci sono molti punti in comune. In entrambi i casi l’obiettivo è di aprirsi per rendersi visibili. L’archivio come la biblioteca deve diventare uno spazio vivo, in cui accadono delle cose. Non solo ricerca ma anche momenti di socializzazione. Dalle relazioni passa il valore e il futuro del fundraising della cultura.