Intervista a Mario Gatti

Beni Culturali
Intervista a Mario Gatti

L’unicità dell’archivio e il potere dell’infrastruttura: la rinascita culturale della biblioteca

 

Intervista a Mario Gatti
Direttore della sede di Milano dell’Università Cattolica

 

In occasione dell’evento conclusivo della prima edizione del Corso di Alta formazione “Laboratorio Archivistico. Metodi e tecnologie per il management e la valorizzazione di patrimoni culturali complessi”, ideato da Hyperborea in collaborazione con l’Università Cattolica, abbiamo chiesto a Mario Gatti, direttore della sede di Milano dell’Ateneo, di raccontarci come nasce l’innovativo modello gestionale che ha condotto la Biblioteca del campus milanese a valorizzare e rendere disponibili agli studiosi importanti raccolte documentali che fanno parte del patrimonio istituzionale e culturale dell’Università Cattolica. Un’occasione per riflettere sull’unicità dell’archivio e sui vantaggi di una partnership che sta mettendo in sinergia competenze e tecnologie a vantaggio della ricerca scientifica.

 

Nel gennaio del 2020 è stato firmato l’accordo Rai Teche e Università Cattolica e negli ultimi anni è in corso l’acquisizione o la valorizzazione di diversi fondi archivistici da parte dell’Università. C’è un modello, o una “visione”, che state perseguendo nel mettere in evidenza l’archivio all’interno del sistema bibliotecario?


In Europa, ma soprattutto nel mondo anglosassone, gli archivi sono già conservati all’interno delle biblioteche ed è la loro unicità a determinare il valore aggiunto dell’Università. Questi mondi affini sono stati a lungo gestiti come fossero separati: è il momento di riunirli per ridare centralità alla biblioteca, che oggi ha l’opportunità di ridiventare un luogo culturale in grado di supportare la comunità accademica. Negli ultimi anni, l’Università Cattolica ha perseguito un modello organizzativo e gestionale che ha messo in luce il valore dell’archivio all’interno del patrimonio documentale, avvalendosi di competenze e risorse, anche economiche, tradizionalmente destinate alla lavorazione del materiale librario, soprattutto mettendo a punto soluzioni concrete per evitare la perdita e la frammentazione degli archivi. Questo lavoro di censimento ha permesso di rendere visibili e comunicanti “isole” di documentazione disperse all’interno dell’università, tutelandole e mettendole a disposizione di professori e studenti con l’obiettivo di dare vita a nuove ricerche, giovandosi di fonti diversificate. Gli stessi archivi personali di singoli professori correvano il rischio di risultare invisibili e di perdere – in assenza di una progettazione e di una lavorazione strutturata – la loro forza narrativa e la connessione con le collezioni librarie esistenti.

 

Qual è l’intuizione che ha generato il cambiamento?


Avere costruito negli ultimi anni un’infrastruttura tecnologica e di processo che ha permesso di accogliere gli archivi, destinando a queste preziose risorse spazi fisici, supporto logistico e legale all’interno dell’Università. A partire dall’acquisizione dei fondi, donazioni, o comodati d’uso, è stata adottata una metodologia condivisa per gestire l’intera filiera: l’acquisizione dei documenti, l’archiviazione fisica e digitale attraverso un software dedicato, fino alla disponibilità per la consultazione o la ricerca, agevolate dalla possibilità di interrogare un catalogo on-line esclusivo per questa tipologia di materiale. Si è trattato di riorganizzarci cercando, in sinergia con le altre componenti accademiche e amministrative, di fornire soluzioni concrete in merito alle complessità legate alla gestione di queste collezioni.

 

Come nasce la partnership tra l’Università Cattolica di Milano e Hyperborea, che ha dato vita alla prima edizione del Laboratorio Archivistico?


La cooperazione tra committenti e fornitori storicamente ha sempre permesso di sperimentare e di adottare nuove soluzioni. Si è trattato sicuramente di un caso virtuoso, in cui entrambe le parti hanno impiegato le migliori competenze: ciò ha generato un prodotto innovativo, ancor più sorprendente se si pensa che il patrimonio archivistico è – nell’immaginazione comune – rivolto ad una stretta cerchia di “addetti ai lavori” e raramente percepito come un’interessante nicchia di mercato.
Spesso si dimentica che la vera innovazione nasce dalla necessità di trovare risposte valide e condivise ai problemi reali e non è mai frutto di un’astrazione. Nel caso specifico, la nostra Università stava già considerando come creare una sinergia virtuosa tra fondi librari e fondi archivistici, nella consapevolezza che è in corso un profondo mutamento nei comportamenti di ricerca e di utilizzo delle risorse da parte degli utenti. Hyperborea per rispondere a questo nostro bisogno ha messo a punto, con la collaborazione dei nostri bibliotecari, un “Catalogo archivistico” on-line sul modello di quello già da tempo utilizzato dalle biblioteche per le ricerche bibliografiche, di fatto adattando e ripensando le funzioni e le potenzialità del proprio software Arianna; ne è nato un nuovo modello formativo che ha unito discipline diverse (dal project management alla valorizzazione) fornendo nuovi strumenti con cui riconsiderare i complessi archivistici e le loro potenzialità.

 

Come è cambiato nel tempo il rapporto tra la biblioteca e l’archivio?


Storicamente le biblioteche hanno rappresentato il luogo fisico in cui preservare il patrimonio, con un forte investimento per far crescere la qualità e la quantità dei libri conservati al suo interno. Oggi con la digitalizzazione è cambiata la modalità di fruizione e la biblioteca è diventata a tutti gli effetti fornitrice di un servizio, spesso erogato attraverso abbonamenti, sottoscrizioni o licenze d’uso per l’accesso ai materiali. L’archivio ripercorre e recupera il modello di lavoro delle biblioteche storiche, ridando valore alle competenze e ricreando un modus operandi basato sulla conservazione ma che al tempo stesso si spinge fino a strutturare un servizio all’utenza. Si tratta di inaugurare un nuovo corso per le biblioteche accademiche, a partire dalle persone che vi lavorano (oltre un centinaio presso il nostro Ateneo), riconferendo dignità culturale a professionalità centrali nella produzione della ricerca.